IL “CORRIERE” PARLA DI ALBOROSIE…

E se anche il quotidiano più letto d’Italia dedica articoli… Reggae is a World Legacy!!!

La parabola verso il successo oltreoceano di un artista lombardo
Il reggae partito da Bergamo ha conquistato la Giamaica!!!!

Dopo anni di gavetta e di vita difficile a Kingston, Alberto D’Ascola ha sfondato con due canzoni da hit parade

LONDRA (Gran Bretagna) – Con i suoi dreadlocks biondo fragola e la carnagione bianco-pallido, Alberto D’Ascola sembra tutto tranne che un giamaicano. E meno ancora un artista reggae alla Bob Marley. Eppure questo trentaduenne che una volta si faceva chiamare Stena ed è stato fondatore e vocalist dei Reggae National Tickets, ora è il nuovo fenomeno musicale dell’isola caraibica e dopo, sette anni nell’inferno di Kingston (ci è arrivato nel 2001), adesso Alborosie (nome d’arte che unisce la “Al” di Alberto a “borosie”, il dispregiativo con cui lo hanno sempre chiamato da quelle parti) ha un seguito da paura (e su Youtube i suoi video sono gettonatissimi), fra due mesi uscirà con il suo primo album dal titolo “Soul Pirate” e si è guadagnato rispetto e considerazione in un ambiente dove la cultura “gangsta” è la sola riconosciuta e le pistole l’unico strumento per farla rispettare.

«DOVEVO SEGUIRE IL MIO SPIRITO» – Certo, per uno nato a Bergamo (ma il suo sangue è un mix siciliano, calabrese e pugliese) e figlio di un poliziotto vecchio stampo, decidere di mollare tutto e di volare dall’altra parte del mondo per fare musica non è stato per niente facile. «All’inizio i miei genitori non capivano – ha raccontato “Al” alla Stampa (l’articolo è stato ripreso anche dal londinese Daily Telegraph) – ma io dovevo seguire il mio spirito». Così, ha chiuso l’agenzia discografica che aveva fondato e con in tasca l’indirizzo di un italiano che viveva in Giamaica, è partito per inseguire il suo sogno reggae. Un sogno che all’inizio nutriva a pollo e riso, perché di soldi ne vedeva pochini.

VITA DIFFICILE – «Davo una mano negli studi di registrazione Gee Jam ed è stata davvero durissima, soprattutto per l’ambiente attorno. L’isola è stupenda, ma per chi ci vive la realtà è molto diversa. Non ci sono soldi e la violenza è ovunque e non è bello ritrovarsi con una calibro 9 davanti alla faccia… Qui impera la cultura “gangsta”, gli uomini fanno i duri e il “bacio le mani” è un atteggiamento tipico. E poi il mondo della musica è davvero corrotto: se guadagni, devi pagare, non c’è altra possibilità».

IL GRANDE PASSO – Ma da qualche tempo la storia ha preso tutta un’altra piega. “Al” ha cominciato a realizzare basi per gli altri artisti e a farsi conoscere, prima di decidersi a compiere il grande passo: fare musica da solo. Il singolo “Herbalife” fa subito il botto, diventando il “7 pollici” (ovvero, il vecchio 45 giri ancora in uso in Giamaica) più venduto in Inghilterra. Non solo. Quando il video viene bandito dalla tv nazionale giamaicana a causa del contenuto (si vedono bambini che vendono “ganja”, marijuana) e di una strofa non propriamente gradita alle autorità (“la polizia ha rubato la mia erba”), il nome di Alborosie comincia a girare e con il secondo singolo, “Kingston Town”, è arrivata la definitiva consacrazione. «In Giamaica, se un pezzo ha successo significa che ha venduto 4 o 5 mila copie. Io sono arrivato a 12 mila e finora avrò venduto 50 mila dischi in totale».

NESSUNA DISCRIMINAZIONE – Insomma, niente affatto male per un bianco dai capelli rossi. «Il colore della mia pelle non è mai stato un problema, sebbene faccia un tipo di musica di un certo gruppo etnico, e non ho mai avuto una sola reazione contraria per il fatto di essere bianco». “Al” non ci ha messo nemmeno molto ad imparare lo slang del posto. «Vivendo ogni giorno con la gente di qui, è stato facile, anche se ammetto di avere un talento per queste cose, perchè conosco gente che vive in Giamaica da 20 anni e non ha ancora imparato a parlare il dialetto locale. Ma qui mi sento davvero come a casa, ho il mio studio di registrazione e mi posso pure permettere due o tre gioielli da sfoggiare nelle occasioni importanti. Non sono un nababbo, questo no, ma comunque vivo bene, anche se da queste parti non si può mai sapere».

Simona Marchetti