Intervista a Luciano

Qualche ora prima dell’inizio del concerto di Luciano al live di Trezzo mi reco nell’hotel in cui soggiorna nel tentativo di fare un intervista al mitico “The messenjah”. Chiunque si sia avvicinato al reggae negli ultimi quindici anni non può non essere un suo fan. La quantità di canzoni di qualità e il timbro vocale caldo e inconfondibile fanno di Luciano una colonna portante della musica jamaicana. E’ forse l’interprete più genuino di una lunga tradizione musicale messa in crisi dall’evolversi degli stili. Luciano con la sua musica non si è mai piegato alle mode per compiacere il pubblico, ma ha portato e porta avanti tuttora la strada cominciata da artisti come Burnin Spear, Bob Marley e continuata con gente come Dennis Brown e Garnet Silk.
Quando si ha a che fare con artisti jamaicani nulla è scontato a livello di orari, disponibilità e buona riuscita di ciò che si propone di fare. Negli ultimi dieci anni ho avuto la fortuna di incontrare molti cantanti jamaicani e spesso ho avuto splendide esperienze nel confrontarmi con artisti che ai tempi del liceo potevo solo ascoltare nelle cassettine, fantasticando l’idea di poterli ascoltare dal vivo o addirittura conoscere. E’ anche vero che non sempre le mie aspettative sono state ripagate e artisti di cui idealizzavo la figura si sono rivelati poi distaccati o poco disponibili.

Non è certamente il caso di Luciano: appena lo incontro nella hall dell’albergo il suo biglietto da visita è un sorrisone rassicurante e alla mia richiesta di poter fare un intervista per il nostro sito si dimostra subito più che disponibile. Dopo dieci minuti busso alla sua porta e, una volta entrato, stranamente è lui a ringraziarmi per la possibilità offertagli di esprimere il suo messaggio in giro per il mondo. Mi spiega che è molto utile poter approfondire e divulgare il più possibile i diversi aspetti della musica reggae e di tutta la cultura che ne sta attorno.
Quindi cominciamo…
B- Puoi parlarmi degli inizi della tua carriera? quali artisti ti hanno maggiormente influenzato in gioventù?
L- Nel 1992 ho inciso la mia prima canzone “Ebony and Ivory”, influenzato da grandi artisti, alcuni dei quali purtroppo scomparsi. Tra tutti ovviamente Bob Marley, Peter Tosh, Jimmy Cliff, Sugar Minott e Burning spear. Tutti grandi artisti. Noi Jamaicani siamo molto privilegiati perchè abbiamo avuto la fortuna di crescere con grandi musicisti e cantanti, respirando un clima artistico unico. Se devo scegliere l’artista che ha maggiormente influenzato la mia carriera, sicuramente il mio mentore è Dennis Brown.
B- Sfortunatamente quest’anno abbiamo perso un grande della musica reggae: Gregory Isaac. Hai mai lavorato con lui o hai un ricordo speciale di lui?
L- Certamente un peccato. Non ho mai avuto modo di incidere un 7″ con Gregory ma mi è capitato di incontrarlo qualche volta per registrare alcuni dubplates in combination. Proprio quest’anno, alcuni mesi prima che ci lasciasse, abbiamo registrato un paio di combination per un sound inglese. Lui mi seguiva perfettamente nonostante di solito non lavorassimo insieme, c’era molta molta comunicazione e affinità tra noi. Era una persona dotata di grande charm, gentile e piacevole, una brava persona e un bravo artista. E’ un peccato che ci abbia lasciato e lo stesso vale per Sugar Minott.
B- Parlami dello show di questa sera. Quali canzoni tratte dagli ultimi album proporrai?
L- L’album “Write my name” non è ancora uscito ufficialmente, quindi non canterò ancora nessuna canzone. Dell’album uscito pochi mesi fa “United States of Africa” canterò solo poche canzone tra cui, anche se non è molto recente perchè l’ho incisa qualche anno fa, “A no like we no like them’ che piace molto a me e alla gente. Per il resto, credo che canterò tutte le mie vecchie canzoni, perchè sono le più conosciute ed è quello che la gente vuole sentire.
B- Cosa pensi della situazione della musica reggae odierna, possiamo ancora chiamarla “reggae” e che futuro vedi per la musica Jamaicana in quest’epoca di sonorità e stili differenti?
L- Il vero reggae è sempre il reggae. Come una pianta che pian piano cresce, i rami si allontanano sempre più dal tronco principale, ma alcuni finiscono per seccare e cadono. Così è successo per il reggae: c’è un limite, ci sono dei rami troppo lontani dal tronco principale. Dopo il raggamuffin e la dancehall alcuni artisti o produttori si sono avvicinati quasi alla tecno. Ciò che fanno oggi molti giovani artisti in Jamaica non è reggae. Il vero reggae ,con cui siamo cresciuti, è quello di Bob Marley, Peter Tosh, Dennis Brown e degli artisti che ho citato prima. Quello che fanno adesso io lo chiamo “streggae”.

B- Parliamo un po’ della Jamaica. Quest’estate in tutto il mondo sono giunte dall’isola immagini di violenza causate dall’arresto di “Dudus” Coke. La violenza nel ghetto jamaicano è sempre stata così grave, ma solo oggi i media del mondo se ne occupano, oppure la violenza ha subito un incremento nel corso del tempo?
L- Penso che il tasso di violenza sia cresciuto ovunque, non solo in Jamaica, ma in tutto il mondo, specialmente nella comunità nera. Il commercio e la distribuzione di armi sono aumentati. Già negli anni settanta-ottanta le armi venivano utilizzate come merce di scambio per comprare marjiuana o in cambio di cibo e a loro volta le armi venivano utilizzate per difendere i traffici illeciti, armi per il controllo del territorio, armi per difesa personale. Sempre più armi. Ci sono state molte infiltrazioni all’interno del ghetto da parte dei nemici del popolo Giamaicano, gente che aveva interesse economico, e non solo economico, che ci fosse questa violenza e che fossero alimentate le divisioni tra la persone.
Io penso che questi nemici del popolo Giamaicano e della comunità nera in genere si siano resi conto che siamo sopravvissuti a centinaia di anni di schiavitù e nonostante le sofferenze patite eravamo ancora in piedi. Una volta che la Jamaica si è resa indipendente c’erano ottime prospettive, grazie anche alla musica e allo sport, discipline in cui siamo al top. La Jamaica si stava facendo conoscere per le sue qualità migliori. E mentre molti artisti mostravano la parte migliore della Jamaica, qualcuno ha voluto boicottarci e distruggerci. Hanno voluto destabilizzare la nostra crescita. I politici stessi per primi hanno alimentato per anni questo clima e sono stati compiacenti con chi introduceva armi e droga all’interno dei ghetti. Ma la situazione è sfuggita di mano ed è degenerata. Ora anche i politici che vogliono migliorare la situazione non riescono a riportare la calma perchè ci si è spinti troppo oltre. Non è facile la situazione e non sarà facile uscirne. Ma chi ha contribuito a tutto questo non potrà sfuggire in eterno alle proprie responsabilità, c’è un giudizio a cui nessuno può sfuggire e non parlo di giustizia terrena.
B- Cosa può fare la musica in tutto ciò? quale ruolo hanno gli artisti? La musica è solo lo specchio della società o gli artisti possono fare qualcosa per migliorare la situazione?
L- La musica è molto importante. Molti artisti con le loro canzoni hanno educato la gente e senza questi artisti la situazione sarebbe stata peggiore, su questo non c’è dubbio. Io con la mia musica e con alcune canzoni ho cercato di contribuire a divulgare un visione della società diversa, con un approccio più spirituale alla realtà. Penso ad esempio a canzoni con Lord give me strength, Sweep over my soul etc etc.
Chi canta di violenza e la esalta non fa il bene della società, indubbiamente i nostri messaggi hanno un effetto potente su chi ci ascolta e non dobbiamo scordarcelo. Non penso che la violenza di cui ho parlato prima sia colpa dei cantanti, ma indubbiamente i cantanti possono avere un’influenza positiva sul pubblico. Penso che, visto che la musica è una grande risorsa per la Giamaica, sarebbe utile che il governo investisse maggiormente sugli artisti, in particolare sugli artisti che esprimono messaggi positivi di pace e unità, sponsorizzando scuole di musica e concerti.
B- Alcuni artisti Giamaicani spesso riscontrano delle difficoltà a suonare in Europa per il contenuto di alcuni loro testi, in particolare per quanto riguarda le liriche omofobiche.
Ma l’avversione nei confronti degli omossessuali è sempre stata così ma solo recentemente negli ultimi vent’anni si sono diffusi questi testi o anche in questo caso il problema è aumentato. Come mai negli anni ’70 non c’erano tutti questi testi omofobi?

L- Sai, i contenuti dei testi degli artisti spesso tendono a ripetersi e dopo un po’ gli artisti cercano nuove strade, nuovi temi e osservano la risposta del pubblico. Se il pubblico, che spesso a causa della scarsa alfabetizzazione non ha gli strumenti per capire cosa sia giusto e cosa sbagliato, si esalta e dà grandi forward su tematiche omofobiche altri artisti seguiranno questa tendenza e così è successo. Noi artisti rastafariani abbiamo sempre cantato di unità, pace e speranza, non parliamo mai di giudizio terreno. Non spetta a noi giudicare la condotta di vita delle altre persone, c’è un giudizio dopo la morte ed è quello dell’Onnipotente, spetta a lui giudicare se hai vissuto facendo del bene o facendo del male, non spetta a noi giudicare. Noi dobbiamo solo promuovere messaggi positivi di amore.

B- Un’ultima domanda. Il mercato del vinile è in crisi. Sempre meno canzoni vengono stampate su vinile e sempre più artisti decidono di vendere le proprie produzioni online su I-tunes per esempio. Pensi che sia un peccato che questa tradizione stia scomparendo?
L- Bene, io non sono così pessimista. Perchè quello che conta è il messaggio che la musica reggae promuove non il supporto.
Non puoi fermare il progresso, non bisogna combattere la tecnologia, ma bisogna impegnarsi per farne un buon uso. L’artista deve seguire la tecnologia. Nel corso degli anni la musica e la tecnologia legata alla musica hanno fatto passi da gigante. Quarant’anni fa se entravi in studio non avevi la possibilità di registrare così bene, con continue prove, con così tante tracce. L’evoluzione dei programmi di registrazione e dei mixer ha fatto si che la qualità della musica migliorasse. Per esempio penso ai vantaggi che un programma come ProTools ha dato alla registrazione rispetto ai vecchi studi. La maggior parte dei djs nel mondo inoltre utilizza supporti moderni che non premiano il vinile e gli artisti devono pur lavorare stando al passo coi tempi. L’importante è che la tecnologia, non solo nel campo della musica, venga utilizzata per aiutare la gente, per unire, per portare pace, non per opprimere e soffocare la gente. Se la tecnologia può aiutare il mio lavoro e rende più facile la divulgazione del mio messaggio di unità, pace e amore non ci vedo nulla di male. Un po’ mi dispiace che il vinile venga utilizzato sempre meno, anche in Giamaica i giradischi vengono utilizzati poco oramai, è quasi difficile trovare i pezzi di ricambio se si rompe qualcosa. E’ un po’ come un’auto d’epoca: è affascinante, ma se rompi un pezzo hai qualche difficoltà a ritrovare il pezzo che ti serve.

Finita l’intervista mi ringrazia nuovamente per le tematiche affrontate, ma ovviamente sono io a doverlo ringraziare per avermi dato la possibilità di approfondire alcuni argomenti e per l’educazione e la disponibilità dimostrata.
Baje

3 thoughts on “Intervista a Luciano”

  1. ahah, su suggerimento di Pippo Taji cambierei il nome di Quicly Burnin’ Sound in “Eh ma figa, suona “casual” al Rave Sound”
    🙂

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