Don’t Cut Off Your Dreadlocks

La cosiddetta capigliatura rasta, comunemente ed erroneamente nota con il solo nome di rasta, si sta diffondendo da anni anche in Occidente fino a diventare quella che possiamo ormai riconoscere come una moda.

Nell’immaginario collettivo i concetti solitamente legati a questo tipo di acconciatura sono pochi e confusi, troppo spesso anche tra chi se ne fa portatore. Questi sono riassumibili in tre parole chiave: Rasta – Bob Marley – Marijuana.

Non sbagliato, ma sicuramente non corretto.Allora cosa sono, cosa rappresentano realmente queste ciocche ribelli?

Prima di tutto è necessaria una puntualizzazione. Descrivere con la parola rasta la capigliatura è impreciso: essa indica in realtà un fedele della religione rastafariana, a cui tuttavia questo tipo di acconciatura è strettamente legato. La parola corretta da usare è quella inglese di dreadlocks, da dread (terribile) e lock (ciocca). Ma cosa hanno di così terribile le famose treccine?

La loro genesi dura e sanguinosa, sicuramente.
E’ il 1952 in Kenya, Stato africano colonizzato ma non piegato in cui gli Inglesi tentano di affermare con la forza la propria supremazia. Le rappresaglie e le esecuzioni sommarie, oltre che l’incarcerazione nei 150 campi di concentramento noti con il nome di Pipeline, mietono migliaia di vittime.

In questo momento di repressione i Mau Mau, ribelli kenyoti del popolo dei Gikuyu, organizzatisi nel Kenya Land and Freedom Army si ritirano nelle foreste dei monti Aberdare per organizzare la resistenza. Qui giurano di non tagliarsi più i capelli finché i bianchi usurpatori non saranno cacciati dalle loro terre. Cominciano quindi a raccoglierli in trecce secondo un’acconciatura tradizionale in diverse parti dell’Africa: nascono così i dreadlocks, gli intrichi del terrore simbolo di lotta all’oppressore.

KIMATHI1

La foto accanto ritrae il più famoso leader dei guerriglieri Mau Mau, Dedan Kimathi. Quando egli venne a sapere che gli Inglesi non avevano un suo identikit fece avere loro questa istantanea scattata nella foresta: sorriso di scherno e corti dreadlocks ritti attorno alla testa; erano i primi mesi di guerriglia. Nel ’56 fu catturato e in seguito giustiziato.
Oggi nel centro di Nairobi sorge una statua che lo rappresenta: fucile e pugnale in mano, lunghi dreads sciolti, perenne e indomita sfida all’imperialismo bianco.

Queste storie di resistenza africana colpirono al cuore gli adepti di un culto che da una ventina d’anni si stava diffondendo in Jamaica e tra le comunità afroamericane dei Caraibi: il Rastafarianesimo, sincretismo tra le grandi religioni monoteiste e culti locali africani. Nato e diffuso tra gli schiavi in cerca di punti di riferimento e delle radici da cui erano stati strappati, questa religione ha in Jah il proprio dio, in Hailé Selassié-I (l’imperatore d’Etiopia che aveva combattuto contro l’imperialismo dell’Italia fascista) la sua incarnazione e nel ritorno in Africa il suo messaggio.

Le similitudini tra la lotta kenyota ed etiope contro Babylon, cioè l’Occidente bianco e invasore, e quelle che ogni giorno gli Afroamericani nei Caraibi dovevano affrontare contro i soprusi di una società razzista e ancora strettamente legata a impostazioni di tipo schiavistico, facilitarono la connotazione ideologica dei dreadlocks come simbolo comune di resistenza.

Nelle comunità Rasta fu immediata anche l’assimilazione tra la fiera capigliatura africana e la criniera del Leone di Giuda, emblema di Hailé Selassié I… “rastaman a lion”.

A partire dalla fine degli anni ’60 la musica reggae si fece portatrice dei messaggi sociali-culturali-ideologici e religiosi del Rastafarianesimo e di tutte le popolazioni afroamericane oppresse che vedevano nel ritorno alla dignità e a Zion (la madrepatria Africa) l’obiettivo ultimo. I dreadlocks divennero immediatamente segni identificativi caratteristici di questi musicisti che portavano vibrazioni in levare dalla Jamaica, all’Inghilterra, ai palchi di tutto il mondo. Essi infine nell’immaginario comune si legarono saldamente alla figura più rappresentativa del reggae: Bob Marley, che se ne fece ambasciatore nel mondo.

Come spesso accade i personaggi molto carismatici e influenti tendono con il loro magnetismo a catalizzare le attenzioni e a lasciare una traccia talmente vivida da modificare in parte quella che è, in questo caso, la concezione del reggae, dei dreadlocks e (perché no?) della marijuana da qui in poi.

In quest’epoca di facili mode, di capitalismo dilagante, di falsi idoli e di tutto ciò che la parola Babylon può oggi rappresentare per noi, resta quindi importante ricordarsi della vera storia dei dreadlocks, le terribili ciocche che attraverso decenni di resistenza e lotte portano fino a noi il loro fiero messaggio di libertà.

Dario TitanBoa